di Santa Spanò
Avere buoni vicini di casa è come avere una casa più grande.
Proverbio cinese
Nei miei numerosi traslochi, vuoi per forza maggiore e poi per scelta a volte obbligata, ho sempre pensato di essere una vicina. Vi potrà sembrare un concetto banale, eppure è diverso il pensare di “avere dei vicini” ed essere invece consapevoli di “essere noi dei vicini” per gli altri.
Cambia profondamente, non trovate? Il luogo più comune è quello di evitarli, i vicini.
“Secondo un’indagine on line su 1.800 italiani, promossa da Nescafé e legata al video-esperimento sociale «The Nextdoor Hello», il 61% degli italiani vede con fastidio chi gli vive accanto.”
Così Nescafè, che a dire il vero non ho mai assaggiato, ha trasformato degli ignari condòmini in un esperimento sociale, piazzando nottetempo dei “tavoli-ponte” in un condominio nella zona Navigli a Milano.
Esperimento riuscito, raccontano. Le persone da sospettose sono passate in modalità cordiale davanti alla sorpresa mattutina e al caffè già pronto. Ché trovare il caffè già pronto al mattino fa di sicuro la sua bella differenza, e bravo Nescafè! È riuscito a far sorridere i dirimpettai e soprattutto ha gettato un ponte, meglio se tavolo, per farli conoscere.
Perché c’è da dire che un po’ per la fretta, un po’ per la paura, a volte per l’invadenza, altre ancora per pigrizia, dei vicini ci interessiamo quasi esclusivamente per il rumore, il fastidio, e qualche buona dose di “pettegolezzo”, senza pensare che per gli altri siamo anche noi dei vicini e per buona pace di tutti basterebbe semplicemente applicare quella santa regola della reciprocità:
“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!”
Adottato questo principio forse non esisterebbero più “vicini molesti” e ci potremmo concedere la soddisfazione e il piacere di scoprire che i nostri confinanti sono dei “tesori”.
Ci siamo sempre fermati al “buongiorno” incrociandoci, lui milanese di origini calabresi è ritornato al Sud, ci accomuna il viaggio, quello di ritorno, ma soprattutto l’amore per l’arte. A farci da ponte, senza bisogno del Nescafè, Valeria, vicina di quartiere.
Vi presento anche lei, Valeria Genua Condò una super mamma di tre bambini, compositore e impaginatore grafico, scout, trekker. Volete sapere il suo nickname? Rugiada del bosco, dice tutto! (anche fare trekking in Aspromonte dice tutto, è un’overdose di natura vi assicuro, così come credo richieda un sovradosaggio di forza crescere tre bambini e districarsi con serietà nei quotidiani doveri).
Continuamente impegnata in progetti socio-culturali e anche segretaria del Circolo Culturale “Apodiafazzi”, associazione che ha a cuore la valorizzazione della lingua e della cultura greco-calabra, perché lei è una “pasionaria”, ci mette emozione, e tra le tante altre cose, crede fortemente nella difesa del territorio.
Come l’artista Fortunato Violi, conosciuto grazie a Valeria, che il territorio lo racconta nei suoi “libri di terracotta”.
Mi correggo, lo scultore Fortunato Violi, perché lui prima di tutto vuole essere un bravo artigiano. «Il concetto di artista è molto sfruttato», mi spiega, «enfatizzato, prima bisogna avere la padronanza della tecnica, questo in tutte le arti. Per essere dei bravi artigiani, il percorso deve partire dalla base, dalla conoscenza della linea dritta e del cerchio, poi si diventa “artefici” e alla fine si è degli artisti. È vero, tutti possono “fare”, ma se non si studia, non si fa ricerca, non si va da nessuna parte. Di sicuro i “geni” vedono le cose meglio e prima degli altri ma anche loro devono fare un cammino di perfezionamento.»
Fortunato ha le idee chiare, ma non potrebbe essere altrimenti perché il suo vuole essere un messaggio di formazione storica e sociale, lontano dalle dinamiche del bello fine a se stesso ed autoreferenziale dettate dalla legge del mercato.
Le sue sculture vogliono parlare alla gente con un linguaggio semplice e diretto per ricordare chi siamo stati e tornare a riconoscerci.
Dal suo studio di Milano Rogoredo, una vera bottega artigiana, dove il lavoro di formazione, organizzazione e produzione si divideva con il papà Francesco, pittore e scultore, la mamma Angela Calabrò, decoratrice ceramica, e il fratello Carmelo pittore, Fortunato Violi è ritornato alla terra d’origine per raccontare con una serie di bassorilievi murali la storia di San Pietro a Maida, un comune della provincia di Catanzaro, ed è rimasto a vivere a Reggio Calabria in un continuo dialogo con la memoria e la gente. qui
Le sue “mattonelle” in terracotta toscana sono pezzi unici, senza stampi, né matrici, lui lavora su queste basi di grandi dimensioni, anche 3 metri, direttamente, non ci sono copie, e se disgraziatamente la terracotta si spacca, tutto il lavoro è perduto.
Mentre mi mostrava gli attrezzi, che lui stesso costruisce, mi è tornata in mente una bellissima citazione:
“Quando compri qualcosa da un artista, stai comprando più di un oggetto.
Stai comprando centinaia di ore di fallimenti ed esperimenti.
Stai comprando giorni, settimane e mesi di frustrazione e momenti di pura gioia.
Non stai solo comprando una cosa, stai comprando un pezzo di cuore, una parte dell’anima, un momento della vita di qualcun altro.”
Rebekah Joy Plett
Ho continuato a pensarci per tutto il tempo, guardando il lavoro che sta ultimando per il comune di Staiti, un antico borgo medievale in provincia di Reggio Calabria, definito per la sua architettura “a nido d’aquila”. Qui Fortunato nei suoi “libri di terracotta”, posizionati lungo le strade del borgo, narrerà la storia di 18 basiliche bizantine calabresi, un’opera frutto di una lunga ricerca sempre “a bottega” dividendo il lavoro con il padre Francesco e il prezioso supporto di una donna, “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, anzi come dicevano i latini “una donna provvista di spirito sostiene il marito”, si tratta di Angela, la moglie di Fortunato, ché le donne si sa “contengono e nutrono il mondo”.
Gli chiedo se la lontananza da Milano pesa, mi risponde che a Reggio Calabria sta bene, «ovviamente il confronto con le grandi metropoli è sempre necessario.» Con questo spirito di confronto insieme ad altri artisti ha fondato la rivista Zenone, un diario di appunti e uno sguardo verso il nuovo. qui
Tornando a Reggio, Fortunato continua: «La cultura magno-greca è eccezionale! Anche se, forse per un discorso di pura arroganza, si è deciso che i greci non fanno più scuola, eppure le risorse non solo paesaggistiche, ma architettoniche di questo territorio sono la sua vera ricchezza. Al Sud, quello che non è stato compensato con l’industria, andrebbe fatto con l’arte.»
E mentre mi spiega come potrebbe essere una svolta per questa terra la realizzazione di un “museo all’aperto” itinerante, andiamo a prenderci un caffè, e si perché il caffè non solo rompe il ghiaccio, ma è una piacevole pausa e con Fortunato abbiamo voluto esagerare, non solo il caffè, ma pure il dolce. Lui va di matto per i cannoli, abbiamo però voluto non abusare accontentandoci di un bignè.
“Siamo quello che mangiamo, ecco perché sono così dolce!”
Questa frase l’appenderei sulla porta di Vera, la mia vicina. Con lei non si può proprio accontentarsi di un bignè, neanche con uno sforzo immane.
Vera Giurato ha lunghi splendidi capelli nero corvino ed un sorriso luminoso, ma è nelle sue mani che sta una bellezza più intensa. La tradizione secolare di famiglia l’avrebbe dovuta portare in un’aula di tribunale, forse ha intuito che la dolcezza potrebbe ingentilire gli animi e le azioni, perché lei di mestiere, contravvenendo ai geni di famiglia, fa la pasticcera.
Una storia che lei stessa racconta agli amici:
«Molti di voi si chiederanno come mai ho deciso di intraprendere questo splendido mestiere, specialmente visto che nella mia famiglia nessuno è nel campo della pasticceria…
Tutto comincia quando ero piccolissima e mia nonna materna Vera (con molto orgoglio porto il suo nome!) era una nonna e una donna speciale, ogni giorno a casa sua c’era per i suoi 3 nipoti un dolce diverso e sempre squisito, lei era siciliana e lì si sa la pasticceria è un arte, e nessuno meglio di lei esprimeva tutte le delizie di questa splendida cultura.
Io infatti non mangiavo assolutamente niente di confezionato, senza vergogna ammetto di non sapere che sapore ha una girella o un buondì… ero nel paese dei balocchi, sarei stata una pazza a mangiare altro, ancora mi ricordo il profumo di vaniglia appena si entrava e la sua dispensa con le tendine a quadretti bianchi e rossi ordinata e organizzata in modo invidiabile, i miei preferiti erano quelli che lei chiamava “piparelli” vale a dire i cantucci fatti in casa profumati con molte spezie e morbidi… Una vera delizia… Ne avrò mangiati chili e chili. Lei apparteneva alla vecchia scuola, per intenderci montava i bianchi d’uovo a mano nonostante ci fossero già le fruste e per fare le paste di mandorla non le comprava già sbucciate ma le spellava a mano perché non si perdesse l’aroma…
Credo sia iniziato tutto da lì, quando mi diceva “vieni Verù facciamo un dolce” e io la guardavo incantata…».
Vera Giurato è oggi una pasticcera freelance, il suo sogno, quello a cui lavora, aprire la “Vera Petit Pâtisserie” con giardino, perché Vera ama i colori, li ama così tanto che si è rifiutata di fare una torta per un anniversario di matrimonio. La singolare richiesta di due 70enni per i loro 50 anni di matrimonio, una torta completamente nera, non si sono lasciati convincere per aggiungere un tocco almeno d’argento e Vera non c’è riuscita: tutta nera proprio no!
Ricordate la canzone di Cocciante? “… perchè lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore, e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri, case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera costruiamole una culla, per amarci quando è sera…”
E proprio per amore è ritornata da Roma a Reggio, l’amore è passato, ma la sua passione per la pasticceria si è fortificata moltiplicando gli amanti, e si, i dolci sanno colmare d’amore e Vera dispensa cremosi piaceri, per ora dalla sua “Petit Pâtisserie” virtuale qui
Il mio è stato amore a prima vista per la crostata di cioccolato ai lamponi, poi il tiramisù e la mollezza della crema, così piena, palpitante e…
E sì, s’inizia a dubitare dell’amore eterno quando si assaggia un dolce che sa raccontarti le emozioni della vita e sa zittire il cuore. Silenzi di gusto…
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(*) ripreso da http://lasantafuriosa.blogspot.it/