“Capri dal monte solaro” olio su tela 70×70 |
“Il castello Aragonese a Ischia” olio su tela 50×50 |
“Il poggio” olio su tela 60×80 |
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Ci sono solo fiori bianchi nel piccolo giardino sul Lago di Como: gelsomini, roselline, clematidi, ibischi, gerani, ortensie, e due limoni a evidenziare con la loro imponenza la lievità dei tralci e dei cespugli. Un giardino così non può che essere un’invenzione femminile, l’opera di un’artista delicata e sensibile, e quando lei, Aurelia Borruso, ti viene incontro, esile ed elegante, ti pare di vederla, intenta a dipingere fiori e foglie con tocchi nitidi e dovizia di particolari. Poi ti trovi nel suo studio e ti colpiscono, con una violenza inattesa, forme e colori forti, fiori appena accennati per quanto riconoscibili, paesaggi contrastati, figure drammatiche. “Non esiste un’arte femminile o maschile”, dice l’artista. “Perciò io firmo i miei lavori con il solo cognome, Borruso, ed esprimo in piena libertà ciò che sento”. Nascono così i “Pensieri in viola”, che smentiscono il luogo comune che vuole le violette timide e nascoste: le viole dipinte impongono la loro presenza e trionfano con l’energia del colore e la pienezza della forma, orgogliose della loroscibili, paesaggi contrastati, figure drammatiche. “Non esiste un’arte femminile o maschile”, dice l’artista. “Perciò io firmo i miei lavori con il solo cognome, Borruso, ed esprimo in piena libertà ciò che sento”. Nascono così i “Pensieri in viola”, che smentiscono il luogo comune che vuole le violette timide e nascoste: le viole dipinte impongono la loro presenza e trionfano con l’energia del colore e la pienezza della forma, orgogliose della loro inesauribile forza vitale. “Perché la natura è vita”, afferma la pittrice. “La natura è amica, sia quando si mostra nell’aspetto più accattivante, si quando si rivela in tutta la sua forza”. E indica, fra i tanti, un quadro intitolato “La fiumara”, un paesaggio di colli i’u’ riarse sotto un cielo cupo, ravvivato in primo piano da un’esplosione di oleandri. I rosa dei fiori, esaltati da sciabolate di blu, sconfinano negli arancio, negli ocra, formando una massa che si muove verso il centro della composizione e fa intuire un percorso che avanza inarrestabile, ineludibile. Forte di una solida preparazione accademica, Aurelia Borruso manifesta una sconfinata ammirazione per Giotto e Masaccio. Ma per un’appassionata paesaggista, non dovrebbero essere al primo posto gli Impressionistià “E ov-vio che gli Impressionisti suscitano la mia ammirazione, ma io cerco di ricreare una realtà tutta mia. Non dipingo mai all’aperto. Conservo nella memoria impressioni, ricordi, immagini; assimilo, metabolizzo le figure, le ombre e le luci, finché il quadro si concretizza nella mia mente, e solo allora riverso sulla tela tutto ciò che il cuore mi detta”. I soggetti preferitià “Le rocce. Le montagne di pietra costruite da intarsi di colore e di luce. Le pareti animate da chiaroscuri netti e inconfondibili. Ma anche le rocce levigate dal mare, le rocce che si rivelano sulla spiaggia in arrotondate forme sensuali, modellate e vinte dall’acqua”.
L’acqua, l’elemento vitale per eccellenza… “Ma non l’acqua tranquilla del lago”, specifica l’artista. “Amo l’acqua impetuosa dei torrenti, mi affascina il flusso maestoso dei fiumi, non mi stanco di indagare il colore del mare nelle varie ore del giorno”. In una veduta di Capri, un trionfo di ginestre dorate esalta il blu dei flutti. “Il giallo e il blu, i miei colori preferiti”, dice la Borruso. “Il blu che trascolora nel viola. Il blu intenso delle iris: fiori dalla forma decisa, scultorea, che talvolta dipingo accanto a figure di donne, forti e sensuali che immagino sdraiate nei prati, oppure composte entro schemi geometrici, impastate dei colori della terra”.
La madre terra… Ecco, è forse questo il segreto dell’artista che, al di là di ogni specificazione femminile o maschile, esprime la creatività della Grande Madre mediterranea. La madre che nutre le piante e dona i frutti, dolci, succosi, sensuali. Frutti che, come appaiono nei dipinti, non potrebbero mai essere definiti “nature morte”. Sono limoni gialli e melanzane violette, mele infuocate e
pesche rosa, fragole rubizze e grappoli d’uva cangiante, disseminati su prati verdi e ocra delimitati da cespugli fioriti: le curve piene dei frutti richiamano le linee ondulate del terreno, i vertici acuti delle foglie contraddicono l’orizzontalità del cielo, e un fremito percorre i piani diversi della composizione che si rivela infine come un irresistibile inno alla vita’.
Lidia Kuscar
(tratto da “Gardenia, settembre 2003”) |